Vòlli, e vòlli sèmpre, e fortissimaménte vòlli

Quando avevo pochi anni (e sedici anni sembran pochi) uscivo il sabato sera con tremila lire in tasca.

Erano sufficienti per 3 cose: mille lire di miscela nel motorino scassato, un panino al chiosco problematico, malfamato e bacilloso di piazza Umberto ed essere felice.

Quelle tremila lire hanno rappresentato per molto tempo uno standard, che forse oggi considero dimesso, di uno stile di vita in realtà molto pieno delle vere cose che contano. A sedici anni, chiaramente, non era tutto bello. Ma avere quelle piccole cose, quel mondo di freddo invernale nel rientro entro le 22.30 respirava di appagamento.

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Nel crescere quelle tremila lire sono state per fortuna qualche soldo in più, sempre meno di quelli che avrebbero dovuto essere per l’impegno che ho profuso, ma più che sufficienti per un tenore di vita sopra le aspettative che avevo su quel motorino.

Molte persone sanno che il mio attaccamento al denaro è pressochè nullo, ma pochissimi invece conoscono la pratica di autodisciplina o autofustigazione a cui mi sono sottoposto da diversi anni a questa parte.

L’autodisciplina nella coltivazione del desiderio.

La mia teoria è semplice e muove da un presupposto: tutto ciò che uno può ragionevolmente desiderare è in un certo qual modo raggiungibile. Se non ci si riflette troppo, si può pertanto ottenere tutto senza troppe difficoltà.

Questo approccio, nell’arricchire il riempimento dello spazio vuoto nel bene primario che è la casa (ove in realtà si pagano i muri ma è il vuoto all’interno quello che conta – e ci affanniamo a riempirlo), secondo la teoria della coltivazione del desiderio, impoverisce.

Ho iniziato a praticare la coltivazione del desiderio qualche tempo fa.

La pratica, non semplice, consiste in questo: individuare qualcosa che desideri avere, ardentemente.

Non importa quanto il bene sia piccolo o grande, bello o insignificante, utile o fungibile, occorre avere in ogni momento un bene materiale o immateriale che si desidera. Anche se c’è la possibilità di comprarlo o ottenerlo, non appagare il desiderio prima che sia giunto a completa maturazione.

Attraverso questa fase sono passate una cassa bluetooth, degli auricolari Bose noise cancelling, una piccola serra, un nuovo borsone da calcio, un viaggio a Vienna, un viaggio a Malta, un viaggio in Egitto, una borsa da lavoro, una tessera del Ferrari Club, una cravatta di Formicola, delle calze Gallo, una giacca sartoriale a quadri ed alcune altre cose.

Nel frattempo ho comunque avuto una significativa propensione marginale al consumo, ma mi sono tenuto sempre nel taschino uno di questi oggetti o esperienze da non avere o non fare.

Forse sono semplicemente pazzo.

Invece ogni volta che ho qualcosa da desiderare ardentemente, io sono felice.

Mi sembra di tornare indietro e di respirare quella fredda aria della sera di periferia, e sentire quel profumo di margherite selvatiche nel terreno vicino casa, e quella puzza di piscio di cane sulla strada di scuola, e quel rumore di marmitta, e  quello strisciare di anfibi ai piedi, e la voce di mio padre che mi sveglia, e quella levetta della 500 di mio nonno a destra della leva di accensione, e quel rumore di ascensore, ed il fruscio delle chiavi silenziosamente penetranti la porta di casa, e le paure di mia madre e il rumore dell’amplificatore del mio basso che gracchia in cantina da Giancarlo, e mille altre cose perdutesi nella pioggia.

Da oltre 18 mesi desidero, non cedendo, un Ipad.

All’epoca però volli, e sempre volli e fortissimamente volli, solo quel bacio.

Non ci crederete, ma quando arrivò mi sentii esplodere di gioia e, nel tornare a casa con ancora 2000 lire in tasca, io vi giuro che per qualche millisecondo ho volato.