Dino e Piero

Mercoledì in aeroporto ho comprato un libro che parla di un eroe italiano che si chiama Enzo Ferrari. Tra le varie biografie che ho letto, questo libro è scritto da Turrini, un giornalista che ha curato biografie importanti e che soprattutto è considerato uno dei maggiori conoscitori della storia del Cavallino.

Il libro racconta la storia della nascita del mito non seguendo un rigoroso ordine cronologico. Pur mantenendo una certa forza di consecutio temporale, a prevalere è l’aspetto tematico.

Uno di questi temi è l’approfondimento di una situazione sentimentale, quella di Ferrari, che mi ha colpito.

Per motivi diversi, non credo sia rispettoso riportare i dettagli delle storie di Dino e Piero.

Due pensieri però mi sono rimasti in testa.

Il primo è che se avessi accettato una delle offerta di lavoro che negli anni ho rifiutato, avrei letto documenti firmati da Piero e forse lo avrei letto in chiave diversa da quella dell’unico vivente erede di Enzo Ferrari. Ho fatto bene a rifiutare quel lavoro.

Il secondo che Una Ferrari Dino non ha prezzo. Vorrei tanto avere la fortuna in vita mia di sedermi in una Ferrari Dino per sentire che effetto fa sedersi in una Ferrari che Enzo Ferrari ha sentito potesse portare il nome di suo figlio morto giovanissimo.

La struggente meccanica dei motori a scoppio.

Giulia

Giulia ha 1 anno. L’ho conosciuta 364 giorni fa. Sono andato in ospedale a conoscerla, insieme al mio secondo bambino, che le ha portato in dono un suo pupazzetto di 2 cm di altezza.

L’ho conosciuta mentre si dedicava alla sua attività più importante, la suzione del latte materno.

Per quanto da qualche anno io e sua madre ci si conosca bene, arrivare in quella stanza durante il rito dell’allattamento mi ha fatto sentire un po’ un elemento di disturbo. Con discrezione, ho prestato attenzione a che la mia visita fosse opportuna, ossia veloce e silenziosa.

Dopo un paio di mesi, quando Giulia ha iniziato a sorridere, ho iniziato a prenderla in braccio. Ogni santo giorno che l’ho presa in braccio non mi ha mai negato una massiccia dose di sorrisi.

Abbiamo sviluppato in maniera molto naturale e silenziosa, un piccolo codice di comunicazione, io e Giulia. Esso è essenzialmente basato sullo scambiarsi uno sguardo intenso e sorridente, seguito da un sorriso, un piccolo suono, e nuovi sorrisi.

Giulia ha poche importanti pretese. Essenzialmente vuole mangiare le briciole.

Quando suo padre mi ha chiesto di essere padrino di Giulia, ho sentito di essere la persona giusta come lui sarà il giusto padrino di Francesco. Ci sono poche cose importanti come essere padrino di un bambino e non si possono descrivere, queste cose.

Il giorno del battesimo, Giulia era radiosa. Ci siamo scambiati uno sguardo che io non dimenticherò.

Sono sicuro che saprò interpretare questo ruolo come si deve.

Senza dimenticarmene.

Soprattutto quando non avrà più bisogno solo di briciole.

La festa del papà

La festa del papà in Inghilterra non è il 19 marzo.

Me lo diceva un collega padre, Michael. Mi spiegava che invece lì la festa della mamma è a marzo. Non ho capito se esiste o meno la festa del papà in Inghilterra. Michael ha un bambino di 4 anni che fa le stesse cose che fa mio figlio.

Oggi è la festa del papà in Italia. Una serie di piccoli aspetti che la rendono unica.

Uno di questi il poter fare qualcosa di speciale, come piantare una piantina insieme ai bambini o assistere con loro ad uno spettacolo di burattini.

Un altro ascoltare la loro poesia della festa del papà. Un altro ammirare il lavoretto da loro preparato.

Ricordo quando ho ricevuto una “Lavagna Leopardo di nome Gerardo”. Ce l’ho ancora, anche se oltre a risiedere nel cassetto dei ricordi, la Lavagna Leopardo di nome Gerardo ha un permesso di soggiorno evergreen nel mio ventricolo sinistro.

La poesia in molti casi è basata su due elementi.

Il primo è quello di caratterizzare il padre come un soggetto impegnato e immerso nel lavoro. Che ne so, tipo un commesso viaggiatore con il bavero alzato nel freddo della sera di Torino a metà anni 70, che attraversa corso Vittorio Emanuele di fronte alla Stazione di Porta Nuova, per alloggiare nella Pensione Lina (una stella e mezzo), ma prima di andarsi a coricare telefona a casa dalla cabina con telefono a gettoni nel bar sotto i portici. Sto bene. Fa freddo. Torno venerdì.

Il secondo è quello di contenere pochi versi che descrivono il bene che i bambini vogliono al papà e che il dono per la festa altro non è se non il loro amore. Un centrifugato di dolcezza.

Il risultato è quello di una tempesta perfetta di semplicità.

Siamo davvero padri esausti, e molti di noi hanno davvero il bavero della giacca alzato. In effetti siamo davvero immersi nelle responsabilità fino alla gola.

Abbiamo imparato ad archiviare talmente bene i nostri sogni adolescenziali da esserceli dimenticati.

Abbiamo talmente bene imparato a vivere in apnea che non ci siamo resi conto di aver sviluppato branchie.

Cominciamo a fare confusione sui ricordi e qualche anno rappresenta solo un numero, non riuscendo più a classificare i ricordi in preciso e diligente ordine cronologico come fino a pochissimo tempo fa potevamo fare.

La vita ci scorre tra le mani come una corda di canapa e ci lascia abrasioni sulle mani. Non sappiamo neanche quando l’abbiamo presa in mano quella corda.

La poesia della festa del papà ricompone però tutto il quadro di una esistenza in passaggio verso i quaranta anni suonati.

Ci riporta un sorriso trattenendo una lacrima che non scenderà. Ci rende felici di essere quello che siamo diventati, silenziosi ragazzi che scoprono i primi capelli bianchi, senza una certezza di pensione, ma orgogliosi.

Orgogliosi di un presente che non supera il metro di altezza.

Essere ferrarista

Avevo 8 anni quando con un cappellino della McLaren salii le gradinate della tribuna Fiat ad Imola.

Un piccolo cappellino McLaren in un oceano di cappelli Ferrari.

Il podio fu Senna, Prost, Piquet. Mio padre, che viaggiava sempre tantissimo, quel week-end mi ha regalato il ricordo più bello della mia intera infanzia. Un viaggio in 4 uomini. Io, lui, mio zio e mio nonno. Ricordo che dormimmo in un albergo di Riolo. Era maggio e quella mattina c’era un’aria umida e emiliana carica di tensione.

Tifavo Prost, che vinse il successivo mondiale dopo un incidente a Suzuka con Senna che tentava di passarlo. Alla vittoria di Prost fui felice come un bambino di 10 anni appena compiuti.

Prost passò in Ferrari alla stagione successiva. Diventai Ferrarista e quando Prost lasciò la Ferrari per un periodo sabbatico, ormai avevo il cuore rosso. Quando Prost tornò in F1 ed andò alla Williams, preferii rimanere tifoso di Alesi e Berger.

Da allora ho visto le Ferrari correre dal vivo altre 15 volte.

Non tantissime, ma neanche poche per un ragazzo che in tasca i primi soldi veri li ha avuti a 29 anni ed il primo figlio a 32.

Essere Ferrarista comporta una fede incrollabile e la stoica accettazione di una certezza: a parte pochi cicli vincenti, la Ferrari perde. Ossia arriva massimo seconda.

Il Ferrarista accetta la sconfitta senza troppi problemi e senza rimanerci troppo male. E’ come avere un piccolo difetto fisico. Certo, vorresti non averlo, ma non ti disperi per sempre di averlo. Dopo qualche stagione il difetto fisico lo accetti.

Il ferrarista divide l’anno in quattro fasi. Il primo è la attesa della presentazione della nuova macchina – che va da novembre a febbraio. Il secondo è quello dell’attesa di capire i riscontri cronometrici attendibili sulla competitività della macchina, ossia che inizi il campionato – da febbraio a marzo.

Poi una volta iniziato il campionato inizia la terza fase, che è quella della consapevolezza che “anche quest’anno sarà molto difficile vincere il mondiale” – che dura fino a quando non iniziano le gare europee, a maggio/giugno.

L’ultima fase è quella della amara e nera rassegnazione, in cui speri di vincere almeno una gara ed acquietare quel cavallino rampante che ti scalpita nello stomaco. Negli anni peggiori, questa rassegnazione dura fino alla fine del campionato.

Poi inizia un nuovo ciclo.

Oggi hanno presentato la nuova Ferrari, si chiama SF70H. SF sta per Scuderia Ferrari; il 70 serve a celebrare il 70° compleanno della scuderia. H starebbe per Hybrid – ossia per il motore ibrido.

Secondo me sta per Hospital, visto che in base alle indiscrezioni la macchina sarebbe lenta come una agonia in un letto di ospedale.

Che dobbiamo fare, aspettiamo Melbourne, ossia che arrivi la seconda metà di Marzo.

Lì avremo dei riscontri cronometrici attendibili e bestemmieremo come ogni anno, ma ci stringeremo in un unico urlo – Forza Ferrari. Ricordando tutti, su tutti Gilles Villeneuve e Jules Bianchi e sperando per Michael.